IL TRACCIATO DELLA VIA CHIANTIGIANA NEL TERRITORIO DI GREVE:
ORIGINE E SVILUPPO DELL'ITINERARIO STRADALE, DALL'EPOCA ETRUSCA AL MEDIOEVO
di Rinaldo E. Mannucci
Ricerche e studi sulla «cultura materiale», nelle zone soggette al controllo dei centri urbani, costituiscono il più recente campo d'indagine sull'evoluzione delle comunità civili di quest'ultimo millennio; resta, in primo piano, l'interesse per l'antica viabilità e sue varianti, capaci di marcare tali trasformazioni, la cui analisi si impone nella moderna pianificazione di collegamenti e risorse del territorio provinciale. La storia di un percorso stradale, in fondo, può essere letta come stratigrafia di particolari necessità di comunicazione tra le genti: tutte le diverse esigenze economiche e culturali, manifestate si attraverso i tempi, sono sempre state recepite e diffuse su tracciati comuni prestabiliti; perciò, le vicende di formazione della Via Chiantigiana, nell' ambito del Comune di Greve, andranno trattate soprattutto in chiave di storia sociale delle comunità locali. I limiti cronologici di questo breve saggio (originato da una conferenza sull'argomento del dicembre 1988), permettono ora di meglio evidenziare l'affermarsi di questa importante direttrice viaria, le rettifiche per i diversi stanziamenti avvicendati nella zona, il consolidamento medioevale del percorso, che realizza la vocazione di ponte tra due realtà urbane definite (Firenze e Siena). Il territorio di Greve (16900 ha.) mostra un profilo geografico racchiuso dai Monti del Chianti, e dal corso di due fiumi (EIsa, Greve) affluenti dell' Arno, e di due torrenti (Cesto, Ema) immissari dello stesso bacino fluviale sin dall' Alto Medioevo, risulta sicuramente formato dalle circoscrizioni integrali, o frazioni, di nove Plebati Rurali contermini (Robbiana, Cintoia, Gaville, S. Maria Novella, Panzano, Sillano, Monteficalle Antella, Impruneta) tutti pertinenti alla Diocesi Fiesolana, salvo gli ultimi due spettanti alla Diocesi Fiorentina. Il limite meridionale di questo distretto caratterizzato da rilievi collinari convergenti su crinali montuosi, ricalca con ogni probabilità l'antica terminazione della Colonia Romana di «Fiorentina», confermata da varie testimonianze epigrafiche (dalle rive della Pesa al Borro delle Stinche ed alle cime di Querciabella, Monte S. Michele, Monte Domini); infatti, a mezzogiorno dell' Arno, i confini del Municipio di «Faesulae» sono attestati a S. Cristoforo in Perticaia nel Plebato di Rignano, con lapide di quatuorviro municipale (»C.I.L.»xr-, I, pago 306). Se in Età Romana lo spartiacque dei Monti Chiantigiani funge da barriera naturale tra i due distretti civili, per Fiesole la situazione rimontava all'Epoca Etrusca, come indica il cippo confinario scoperto nel 1680 a S. Andrea di Morgiano nel Plebato d'Antella, forse relativo alla demarcazione con il dominio volterrano; pur sconvolta per la distruzione catoniana (90 A.C.) e la secessione catilinaria (63 A.C.), Fiesole fu privata solo in parte del distretto per la deduzione coloniale di Firenze (metà IO secolo A.C.): non risulta infatti abbia avuto la dura sorte di Volterra, che nel 79 A.C. vide il suo territorio ridotto ad «ager publicus», con perdita della cittadinanza e fuga di molte famiglie (alcune finite in Tunisia). L'espansione posteriore della Diocesi Fiesolana, sino ai limiti del Chianti tra Arbia ed EIsa, si giovò invece delle proscrizioni e confische sillane ai danni di Municipi come Arezzo e Volterra, che si spartivano l'intera regione sino all'inizio del IO secolo A.C., dopo il regresso politico e commerciale di Chiusi; la causa probabile è da ricercare nell'alto valore strategico della fascia chiantigiana e valdarnese, dal tempo della Guerra Greco-Gotica (metà VIa secolo), per il controllo delle comunicazioni tra Esarc.ato, Pentapoli, Ducato Romano: non a caso i Vescovi Fiesolani, noti sporadicamente dalla fine del VA secolo, confinavano direttamente con le Diocesi Romagnole, e la stessa città fu sede d'importante «fara» Longobarda sino alla fine del VIra secolo (sepolcreto di Riorbico). In seguito all'unione dei «Comitati» di Firenze e Fiesole (anno 854), la dinamica politica fiorentina volse all'acquisizione progressiva delle Pievi Rurali già soggette alla Diocesi di Fiesole in Val d'Ema e Val di Greve: la stessa città rivale fu conquistata ed esautorata nel 1125, mentre si debellava ogni resistenza feudale nella zona, legando i nobili locali al regime oligarchico-consolare ed all' accomandigia dei Vescovi Fiorentini; molti documenti confermano, dal primo trentennio del Xl? secolo, i vasti possessi fondiari di tali consorterie magnatizie nel distretto grevigiano, che figura sempre incluso nell' ampia «Iudicaria FIorentina».
Il Comune di Firenze, nell'ultimo quarto del XIIO secolo, assegnò alle giurisdizione civile del Sesto di Borgo questa regione interna, ormai pienamente controllata; poi, con l'ordinamento fiscale e militare delle Leghe di Contado (sorte nel 1250 ed attivate nel 1293), la zona fu spartita tra la Lega di Val di Greve (23 Popoli) e la Lega di Cintoia e Val di Robbiana (17 Popoli), ciascuna suddivisa in Terzieri corrispondenti ai maggiori insediamenti: nel famoso «Libro di Montaperti» (1260) sono elencati i rettori e massai di questi Popoli, oltre ad un «Vicario di S. Donato in Poggio e del Chianti», evidenziando l'organizzazione capillare nelle aree periferiche della Repubblica Fiorentina. Con la grande potenza finanziaria raggiunta nel XIVO secolo da Firenze, e gli investimenti mercantili nelle proprietà terriere locali, coincise la riunificazione delle due Leghe nella Potesteria della Val di Greve (citata dal 1322/25) , che dal 1427 fu inclusa nella giurisdizione del Vicariato di San Giovanni: si trattava di uno dei tre (poi quattro) organismi giudiziari e amministrativi del dominio fiorentino, che, oltre ad assolvere competenze provinciali, vigilava sui confini aretini e senesi sempre aperti alle invasioni. Lo Stato Mediceo, divenuto egemone in Toscana dalla metà del xvro secolo, non soppresse le autonomie locali e cercò di valorizzare scambi e risorse nel territorio, riaccorpandolo per unità geografiche; la Potesteria di Val di Greve fu quindi sottoposta al Vicariato del Chianti (o di Radda), e, nonostante la crisi demografica per l'esodo dai terreni più alti, 1'economia della zona mantenne un certo vigore (verso il 1580 contava ancora 39 Popoli); tuttavia, solo con la riforma delle Comunità Granducali, nel 1774, il distretto di Greve poté consolidarsi nei vecchi limiti delle due Leghe, mantenendo la propria integrità con alcune modifiche (S. Lucia a Bisticci) sino ai nostri giorni. Le tappe per raggiungere questa autonomia finale corrispondono ai modelli di organizzazione del territorio, sempre rinnovati in funzione degli ampliamenti confinari: Firenze, infatti, ad occidente spingeva il suo dominio antico sino al corso dell'EIsa, mentre a sud era avanzata in conquiste, nel 1176, sino all'ultima linea fluviale (Staggia, Arbia, Ambra) del Chianti, assoggettando 75 Popoli alla giurisdizione del Sesto di San Pier Scheraggio; dalla fine del Xl Il? secolo, tali annessioni formarono la Lega del Chianti (menzionata nel 1308), con evidenti compiti strategici verso Siena: il Dominio Mediceo favorì lo sviluppo delle maggiori comunità (Castellina, Radda, Gaiole), ma il massiccio spopolamento montano impose la riunione con la Potesteria di Val di Greve (solo 49 Popoli rimasti verso il 1580), creando il Vicariato del Chianti con Radda per capoluogo. La vecchia polemica sulla geografia storica del Chianti (citato come distretto rurale dall'anno 790), e sull'inclusione dell' area grevigiana in tale contesto, non poteva essere sostenuta, considerando il lungo collaudo unitario della regione nel Vicariato Mediceo; quanto le pretese di Siena, il cui distretto coloniale ad est non superava l'Arbia, già nell'anno 715 aveva usurpato le Pievi Chiantigiane di S. Felice «in Pincis» e S. Marcellino «in Avano/ Avena» (ambedue presso Brolio), un tempo sottoposte alla Diocesi Aretina; si ricordi infatti che la fascia montuosa del cosidetto «Chianti Storico» spettava, in Età Romana, piuttosto al territorio di Arezzo e Volterra, e fu teatro poi di varie usurpazioni ecclesiastiche: anche la Diocesi Fiesolana rivendicava la Pieve di S. Leolino a Conio, distante appena 20 km. da Siena. Se tale quadro spiega l'animosità delle rivendicazioni, ed i ripetuti conflitti tra Firenze e Siena nel Medioevo per il dominio sulla regione, si impone ormai la scelta di altri termini geografici per rispettarne la fondamentale unità: Chianti Settentrionale e Chianti Meridionale; comuni infatti sono gli schemi fluviali e la tormentata orografia, gli aspetti geologici e le variazioni climatiche dell'intero Chianti: anche le testimonianze archeologiche ne dimostrano, dall'Età Etrusca, la funzione costante di collegamento sull'asse viario dalla Berardenga al guado dell' Arno, dalla Val d'Arbia alla Val di Greve.
Questo percorso chiantigiano, essenziale per commerci e transiti dall'Etruria Interna e Marittima all'Etruria Padana, fu praticato dalle popolazioni per tutta l'Età Classica, integrandosi nel sistema stradale di Roma per il controllo interno delle Province Italiche; la continuità d'uso eradovuta ai poli fissi del tracciato, che incrociavano sempre altre importanti direttrici: verso nord la via dei passi appenninici e la Valle del Reno, a nord-ovest il cammino per il Litorale Apuano, a sud-est la pista della Val di Chiana (allora affluente del Tevere), a sud-ovest la strada per le Colline Metallifere ed il Litorale Maremmano. Nel Chianti, dopo una «facies» villanoviana (Età del Ferro) che si attarda sino al Vfl? secolo A.C., per forte chiusura culturale alle innovazioni esterne, ma con segni di benessere diffuso nei varii insediamenti rurali, si notano tracce di una duplice spinta colonizzatrice da Chiusi e Volterra: queste potenti città-stato, impegnate a sviluppare traffici e migrazioni verso l'area padana, realizzarono l'intenso sfruttamento del distretto chiantigiano, favorendo i potentati locali stabiliti sulle migliori posizioni: tali gruppi aristocratici, dotati di clientele e manodopera servile, incrementavano produzioni artigiane e coltivazioni per crescenti esigenze di rango. La stessa fondazione del nucleo di Siena pare dovuta al clan gentilizio dei «Saina/Seina» (ben documentato a Chiusi, ma anche a Montalcino e Perugia), che a Roma si trasformerà nella «Gens Saenia» di ceto senatorio, alla fine dell'Età Repubblicana, ricorrendo più tardi in epigrafi fiorentine e volterrane; di sicura matrice chiusina risultano anche gli abitati arcaici di Cetamura (Badia a Coltibuono), e Piano Tondo - Il Poggione (Castelnuovo Berardenga), tappe obbligate sulla direttrice chiantigiana; a Cetamura faceva capo la strada aretina che passava l'Arno, a Piano Tondo la via rosellana da Civitate di Murlo (con l'asse fluviale Ombrone, Arbia, Malena): l'allineamento successivo di altri centri (Asciano, Montepulciano, Chianciano), convalida l'ipotesi sull' origine chiusina del segmento meridionale della Via Chian tigiana. L'attività politica e commerciale di Chiusi, forte del territorio dalle Valli d'Orcia e Ombrone al Lago Trasimeno, già popolato dall'Età del Bronzo (Montagna di Cetona), conobbe la massima fioritura nel va secolo A.C. con lo sbocco verso l'area padana, dopo lunga fase colonizzatrice; i cippi arcaici epigrafati di Rubiera (Modena), ed i posteriori manufatti iscritti di Marzabotto (Valle del Reno), sono redatti nel particolare tipo d'alfabeto chiusino, e documentano flussi di merci e importanzioni nei mercati transappenninici. La via più diretta per alimentare questi scambi traversava l'intero Chianti, con le sezioni volterrana e chiusina, valicando riunita l'Arno almeno in due punti: verso la confluenza della Sieve per seguire la pista di Romagna, tramite stazioni come Poggio della Colla e Montesassi (Vicchio di Mugello); e sul guado fiorentino sotto lo sperone d'Arcetri, per raggiungere Fiesole ed i passi mugellani dell'Emilia: quest'ultimo costituiva senza dubbio il tracciato principale, vero antesignano della Strada Chiantigiana, mentre l'altro ramo minore scendeva dalla Val di Greve al Poggio di Firenze e Villamagna. Forse era proprio il corso superiore dell' Arbia a dividere, nella fascia del Chianti Meridionale, le zone di influenza chiusina e volterrana, sin dalla prima metà del VlI? secolo A. C.; infatti, con un percorso trasversale da Cetamura si giungeva al crocevia di Castellina, dove l'abitato recinto di circa 4000 mq. (Poggio di Castellina Vecchia) ha svelato, dal 1507 , il grande tumulo gentilizio di Montecalvario (fine lO 11 VIro-inizi VIa secolo A.C.): le cronache citano splendidi corredi funebri ormai perduti, e gli scavi hanno confermato un netto influsso volterrano nelle sepolture; qui affluivano da sud-est le strade di Populonia, Vetulonia, Volterra, e da nord-ovest il tracciato della Valdelsa per Montereggi di Limite, Artimino, Comeana, oltre le sponde dell' Arno. L'orientamento di questo raccordo contrasta però con la tendenza costante verso nord della Via Chiantigiana: riteniamo perciò Castellina un'importante stazione del braccio volterrano, e non quel nodo stradale di raccordo per le due sezioni, ipotizzato da molti studiosi; altro insediamento di marca volterrana era Monteriggioni (altura di Castiglionaltol, con la sua vasta necropoli del Casone dai lussuosi corredi (fine VIIIO secolo A.C.), unito a Castellina dalla pista lungo le rive del Gena e regolante la direttrice fluviale Ombrone, Merse, Rosia, EIsa: come gli altri centri locali, ebbe rapido popolamento nella seconda metà del VIIO secolo A.C., dimostrando grande vitalità nel controllo stradale tra Chiusi e Volterra. La natura commerciale di questi due abitati, che mostrano anche tracce costanti di attività artigianali, diferiva dal tipo di nuclei aristocratico-fondiari come Cetamura e Piano Tondo, sempre ubicati sullo stesso tracciato chiantigiano, e come Poggio Civitate di Murlo nel bacino settentrionale dell'Ombrone, che regolava i traffici da Chiusi a Roselle; a Castellina e Monteriggioni, oltre a salde basi di sfruttamento agricolo, notiamo piuttosto l'attenuarsi progressivo del potere di caste gentilizie, in favore di ceti produttivi probabilmente di origine servile (doppio cognome familiare nelle iscrizioni tombali).
Quando il fenomeno comune di sinecismo per le Lucumonie Etrusche, nel VIa secolo A.C., determinò lo sviluppo urbano di Volterra e Chiusi, ed il diretto controllo cittadino sul territorio a spese delle dinastie rurali, i centri di Castellina e Monteriggioni non ebbero la stessa sorte di Poggio Civitate e Piano Tondo: tali località risultano abbandonate o distrutte verso il 530 A.C., causa probabili resistenze al predominio chiusino di quei potentati locali; invece, a Monteriggioni durano segni d'agiatezza con manifatture d'imitazione volterrana (ceramica di Malacena), per tutta l'Età Ellenistica: a Castellina numerose sepolture (oggi perdute), dal VO al IIlO secolo A.C., attestano una più modesta continuità di vita; quanto a Cetamura, forse disertata sino alla fine del IIlO secolo A.C., il nucleo di rioccupazione finì arso nella Guerra Civile, verso l'anno 80 A.C., lasciando reperti di chiaro influsso volterrano. Il Chianti Settentrionale, privo di insediamenti cospicui ma punteggiato da modeste stazioni rurali, sulle vie fluviali o di crinale, era tutto compreso nel vasto «Agro Volterrano », ricco di potenziale agricolo e risorse minerarie dalla Costa Tirrenica al Valdarno; e, più accentuata che nel dominio chiusino, vi spicca una cultura villanoviana (Età del Ferro) molto conservatrice, che rifiuta a lungo schemi nobiliari ed influssi orientalizzanti: un certo livellamento sociale si intravede, per esempio, nella produzione dei tipici ziri cordonati d'impasto rossiccio, presenti nella necropoli cittadina delle Ripaie, e diffusi in Valdelsa, a Fiesole, nell'area fiorentina (ultimo quarto del VIIO secolo A.C.); da Castellina il tronco volterrano della Via Chiantigiana toccava certamente l'abitato presso Panzano (Pieve di S. Leolino): verso il 1700 vi fu scoperta casualmente, in località «Le Mura», una stele in travertino a ferro di cavallo, poi smarrita per incuria ed utilizzata in nuove costruzioni, ma simile a quelle iscritte di Santinovo e Mensanello presso Monteriggioni (seconda metà VIa secolo A.C.), sempre di chiara matrice volterrana. L'epigrafe arcaica disposta sul margine della stele di Panzano, riportava il nome e patronimico del defunto, un membro di quei clans nobiliari che dominavano la zona «MI: LARUS: ARIANAS': ANASNIES' KLAN» (C.LE.re, 11): il gentilizio sembra affine al chiusino «Arini» ed al tuscaniese «Arinas», mentre la scrittura con velare sorda «K» di alfabeto settentrionale, porta alla datazione nel VIa secolo A.C.; dal va secolo A.C. infatti compare il segno «C», ma l'iscrizione attesta in particolare l'antico influsso chiusino sino ai margini di Val di Greve. Circa l'insediamento di Panzano, ricordiamo che la Pieve limitrofa è citata in atti dal 982 al 1102 con il diverso prediale latino di «Flacciano»: ciò indica lo spostamento dell'abitato su posizioni più difensive, mutando anche l'assetto della viabilità locale; è ipotizzabile un tracciato d'altura sulla destra della Pesa, ancora testimoniato nel Medioevo dall'allineamento di quattro Plebati Rurali, (Panzano, Sillano, Campòli, Decimo) che proseguiva con tre successivi Pivieri (Sugana, S. Vincenzo, S. Ippolito) lungo il fiume sino all' Arno: altra stele volterrana (frammentaria) è emersa dal tumulo di S. Angelo a Bibbione in Val di Pesa, che, insieme alle tombe del Calzaiolo (S. Casciano), segnava la strada da Volterra a Limite sull' Arno, toccando i centri di Poggibonsi e S. Appiano (Barberino). Il rinnovamento urbanistico di Volterra (fine VIa secolo A.C.) con le grandi ricchezze generate da metalli, traffici, coltivazioni, è appunto segnalato dall' esaltazione delle aristocrazie militari su stele funebri di tipo vetuloniese; queste sculture non solo marcano quei nuclei gentilizi già stabiliti sul territorio, ma influenzano il numeroso gruppo delle «pietre fiesolane», e le seriori stele felsinee (prima metà Iva secolo A.C.) dal sepolcreto della Certosa (Bologna): tutti segnali di vitalità e durata dei commerci volterrani. Altro percorso di crinale, da Cetamura a Badia a Montemuro e Monte Domini (segnalato dal Tracchi), pare collegarsi al sistema di strade e diverticoli sino a Monte Rantoli presso Strada in Chianti (indagato dal Rittatore), ma i resti di lastricato ed avanzi fittili in zona risultano d'Età Imperiale o Tardo-Antica; piuttosto, l'itinerario etrusco doveva passare per Lucolena, Cintoia, la Val d'Ema, biforcandosi all' Antella per Fiesole (guado del Girone) e per Villamagna (confluenza della Sieve nell' Arno): tale pista, comunque, rimane secondaria od alternativa rispetto alla Via Chiantigiana, che doveva utilizzare lo sbocco più diretto al guado fiorentino (Val di Greve). Le direttrici fluviali interne furono sempre sfruttate in alternativa ai percorsi montani, per i collegamenti d'Età Etrusca: e il regolamento delle acque aveva raggiunto livelli tecnici rimasti celebri a Roma; il distretto grevigiano conserva molti idronimi con radice etrusca (Pesa, Greve, Ema, Sezzate, Antina, Cesto), .tra cui la Calosina omonima del torrente Calesina presso Sovana; il nome è affine alla divinità infera «Calu», citata nel Piombo di Magliano (Vl ? secolo A.C.), e nella Tegola di Capua (primi va secolo A.C.), e si ritrova in cippo dal tempio del Belvedere a Orvieto, con folgore a rilievo e dedica a «Tinia Calusna» (Iuppiter Fulgurator) (fine Va-primi IVO secolo A.C.)
L'ultima tappa a nord sul maggior percorso chiantigiano, deve essere stato un centro ubicato presso l'Impruneta, dove vecchi e nuovi scavi hanno messo in luce varii reperti (bronzetti votivi e tracce di culto delle acque); da qui, per località come Quintole e Pozzolatico (lapidi romane) e traversando l'Ema, si perveniva al colle d'Arcetri: forse il nome, attestato anche in fonti medioevali, (PodiumArcis Veteris ) ricorda un fortilizio pre-romano a guardia del passo d'Arno. Nel Chianti Settentrionale mancano tracce di qualche sia pur modesto abitato, in Età Romana, salvo la presenza di alcune ville rustiche con avanzi fittili e cocci d'impasto; l'intera zona certamente risentì la netta decadenza del territorio volterrano, dove gli antichi insediamenti scomparvero in gran parte, o si ridussero a latifondi rurali, degradati dalla pastorizia transumante e dalle colture estensive: cessata quasi la produzione artigiana locale, il sistema agricolo passò alla manodopera servile governata da liberti, che amministravano le fattorie in economia di autosufficienza. Tre di costoro sono citati in lapide marmorea di piena Età Imperiale, rinvenuta nel 1605 a S. Maria alla Canonica di Greve (Pitignano), presso un diverticolo stradale dal fondo-valle alla pista sul crinale dei Monti Chiantigiani, tra Lucolena e Cintoia; una coppia di liberti d'origine asiatica dedicava, a proprie spese, la memoria di altro liberto «benemerito » defunto, che aveva avuto la carica onorifica di «Seviro Augustale» (addetto al culto imperiale): DISM.ANIBUS.// C. SAENI. C.L. EVHEMERI//VI. VIR.//C. SAENIUS. DIADUMENUS//COLLIB. ET. SERGIA. HYPORA. BENE//MERENTI. D.S.F. (C.I.L.»XIo, 1613). Il patrono di questo gruppo di liberti era membro di quella «Gens Saenia» d'ascendenza etrusca, il cui onomastico ricorre altre tre volte nell' agro fiorentino e manca in quello fiesolano; ciò indica con certezza che la zona di Val di Greve spettava alla Colonia di Firenze: la località, inadatta alle coltivazioni, era forse riservata al pascolo pubblico, se il toponimo «Canonica» si può ricondurre a «pascua colonica». Altra lapide marmorea, di tarda Età Imperiale, fu scavata nel XVIO secolo a S. Donato a Citille (già Canonica nel 1274), presso la frazione di Greti del Comune di Greve; menziona un cittadino fiorentino (Tribù Scaptia) con duplice «agnomen» (soprannome), morto a 41 anni ««C. PONTIUS C.F. SCAP.//NASO IUNIANUS//PAULINUS// VIX.ANN.XXXXI»» (C.I.L.»xr-, 1668); il toponimo «Cetina/Cetinula» di origine medioevale, indica un terreno disboscato per nuove colture, o campo spianato per il pascolo o maggese (Atto della Badia Amiatina dell'anno 812). Da mezzo secolo, una sistematica ricognizione sul terreno (Rittatore, 1937) ha individuato l'asse stradale dei Monti Chiantigiani, interpretato come «Via Militare»: l'abbondanza di diverticoli non si accorda però con l'uso strategico del percorso, impervio per le quote e dislivelli; nella sezione meridionale (Badia a Coltibuono-Badia a Montemuro), l'eloquente toponimo di Osteria Romana ha fornito avanzi di ceramiche, tegole, mattoni, scorie ferrose, vasi d'impasto (località di Pietraia): ulteriore reticolo affiorava intorno a Radda (Volpaia, Selvole, Pian d'Albola, Bugialla, Villa). In Val di Greve, sono emersi tratti lastricati dei Rami di collegamento (ViaeVicinales»): da Casole alla Chiesa di S. Andrea, dall'Ospedale di Greve alle Convertoie (già Ripamortoia), dalla Canonica di Greve a Fabbruzzo sotto Monte Domini, dal passo del Sugame a Fonzacchino sopra Chiocchio (tramite Rugliana e Monte Rantoli); altri bracci univano il tracciato di crinale (ridgeway) a Lucolena e Cintoia; il Monte Collegalli, al limite settentrionale, forse conserva nel nome un ricordo dell' antica viabilità, degradata a sentiero nel Medioevo (ColeCalli» nel 1137). Questa via militare, connotata dai poveri resti in superfice, che evitava i centri abitati superstiti ed i bacini fluviali di Greve e Pesa, risalendo aspre giogaie che riducevano i trasporti al someggio, mostra un utilizzo di piena Età Imperiale con la sua fitta rete di connessioni locali: l'orientamento sembra disposto da Firenze ad Arezzo, evitando Siena il cui fiorire aveva sconvolto e mutato il sistema dei collegamenti, con probabile frequentazione sino ad epoca Tardo Antica per l'abbondanza di prediali latini conservati. Le ricerche toponomastiche fondamentali del Pieri (1919) indicano, nel distretto comunale di Greve, 40 toponimi latini contro 12 etruschi e 14 germanici: nella serie etrusca elenca 7 corsi d'acqua e 2 borghi (Lucolena & Monteficalle), in quella germanica 5 monti e 3 fossati; ma tra i toponimi di derivazione latina compaiono soltanto 6 monti e 3 torrenti, poiché il resto è dato da prediali singoli, eccetto l'abitato di Panzano e tre frazioni minori. Questa stratificazione mostra l'intenso frazionamento agricolo del territorio, con altrettanti nuclei di coloni insediati in posizione dipendente o servile: i loro prodotti restano assorbiti dalle necessità dei centri urbani, né alimentano più le rotte commerciali a vasto raggio; cessate le grandi spinte economiche, le vecchie direttrici perdono importanza, provocando decadenza o fine di molti abitati; nel IIIO secolo D.C. il sistema viario appare già modificato: Siena utilizza, per raggiungere l'Arno, la pista valdelsana su Poggibonsi, Certaldo, guado 'di Fucecchio, e preferisce il tracciato di crinale in Val di Pesa per collegarsi a Firenze; la Val di Greve è attratta dall' asse radiale del suburbio fiorentino, mentre diradano le comunicazioni verso il Chianti Meridionale: qui, altri centri sempre orbitati dallo sviluppo senese (S. Marcellino, Cacchiano), dal IIOjIIIO secolo D.C. mantengono contatti a nord non oltre la zona di Radda.
L'isolamento del «Distretto» di Greve sin dall' Alto- Medioevo, è provato dalla formazione ai suoi margini di due Plebati Rurali, preposti alla nuova viabilità convergente sulla Via Francigena Valdelsana: a sud la Pieve di S. Maria Novella (Pievedi Chianti»), ricordata in atto di Coltibuono del 1010 ma risalente al XO secolo, posta sul raccordo con la Via Cassia Adrianea che toccava Lamole e Casole; a nord-ovest la Pieve di S. Cresci a Monteficalle o «Novole», menzionata in atto di Passignano del 963 ma databile al IXO secolo, ubicata sull' altra traversa da Cintoia a Passignano (sedi di Gardinghi Longobardi), che utilizzava i ponti scomparsi di Citille (Greve) e Ramagliano (Pesa): le due Pievi ebbero comune appellativo da terreni dissodati per nuove colture (agernovellus), subentrando su quote territoriali delle pievi seriori di Panzano/Flacciano (VIlIO secolo) e Sillano (citata dal 884). L'esistenza di tracciati alternativi alla Via Chiantigiana, alla metà del XIO secolo, è attestata il Val di Greve dai nobili Buondelmonti insediati nella rocca di «Monte Boni» (1041): come vassalli del Vescovo Fiorentino (1092), mantenevano una forte posizione sulla frequentata «Strada Maestra Senese», imponendo gravami sulle merci che spinsero Firenze a debellarli (113 5); tale intinerario d'altura seguiva i Plebati orientali in Val di Pesa (Decimo, Campòli, Sillano, Panzano), e un diverso tracciato marcava quelli occidentali diramando la «Via di Giogoli» (Sugana, Lucardo, Bossolo, S. Donato in Poggio): i due percorsi sono chiamati «via pubblica» in atto di Passignano del 1168, perché riunitisi nel Plebato di S. Leolino a Conio puntavano su Pieve Asciata in Val d'Arbia, e furono entrambi usati nella marcia dell' esercito fiorentino su Montaperti (1260). Alle porte di Firenze, 1'assetto viario medioevale della zona d'Oltrarno s'incentrava nel Plebato di Giogoli, allineato sulla «Via Cassia Adrianea» ed anche tappa dell' antica Via Volterrana: il raccordo cittadino passava l'erta dei «Giogoli Rossi», valicando la Greve al ponte all' Asse (o «Pietre Buone ») sotto il poggio di Marignolle, e nel 1275 un protocollo notarile lo dice «strata publica veteris»; la Via Senese varcava l'Ema a Massapagani (Galluzzo) per salire a S. Gaggio, già frazione suburbana (lapidi romane della fine l° secolo D.C.). In Età Imperiale, la Via Chiantigiana diramava dalla Via Adrianea all'Impruneta, scendendo a Pozzolatico e S. Felice ad Ema (epigrafi sepolcrali) sulla vecchia pista etrusca d'Arcetri; ma ormai si preferiva un diverso tracciato, che superava l'Ema al Ponte a Jozzi (Cascine del Riccio), aggirava le colline di Montici (resti di terme romane), e toccava la Colonna di Ricorboli (testata di sarcofago scolpito) finendo alla «Porta seu Burgo Sancti Niccholai», presso la sponda dell' Arno: l'ultimo tratto era comune anche alla Via Aretina per il Valdarno, condotta da Bagno a Ripoli a S. Donato in Collina ed Incisa. Un frammento di capitolo (1280 circa) inserito in statuto del Capitano del Popolo di Firenze (1322/25), descrive appunto questi tre percorsi, come le maggiori direttrici cittadine sul territorio meridionale: «Strata del Chianti qui summit initium a pilastro ubi est crux ultra ponticellum de Ricorboli »; «Strata per quam itur ad Sanctum Cassianum, Podium Bonizzi, et Sanctum Donatum de pocis»; «Strata de Giogholis que summitur a Porta seu Burgho Sancti Petri in Gattolino» (Porta Romana) il «Libro Vecchio di Strade» scoperto dal Ciampi nell' Archivio Frescobaldi, e risalente al 1461, mostra ancora l'intero distretto grevigiano in relazione con la «Strada da Ricorboli in Chianti», salvo la Val di Robbiana connessa alla «Strada dal Ponte a Grassina al Poggio alla Croce» che scendeva in Valdarno a Figline, come variante alto medioevale della Via Adrianea. In conclusione, occorre accennare al regime giuridico e fiscale, imposto ai residenti nel Dominio Fiorentino, prima dell'istituzione delle 96 Leghe di Contado; una «Curia Forensium» urbana è documentata dal 1206 (S. Martino al Vescovo), ed un altra simile dal 1213 (S. Michele in Orto): saranno unificate nel 1225 pur restando in sedi divise, mentre i religiosi e loro soggetti disponevano della Curia Vescovile; nel 1236 ogni Sestiere cittadino aveva la sua Curia Giudiziaria, ma le «Corti del Forese» dureranno almeno sino al 1242, distinte in «Curia Forensium trium Portarum» (Duomo, S. Piero, S. Pancrazio), e «Curia Forensium trium Sextorum » (S. Pier Scheraggio, Borgo, Oltrarno). Circa i metodi di tassazione, un «focatico» di 26 denari colpiva ogni famiglia di liberi (alloderi ed affrancati), nelle Comunità Rurali, salvo ecclesiastici con loro servi e militi con proprii masnadieri: al 1218 data la notizia cronistica di un Censimento Generale nel Contado Fiorentino,-e nel 1220 si insediò una commissione cittadina per imporre Dazio e Accatto nel territorio; nel 1233, al tempo del Podestà Torello da Strà di Pavia, un capitolo del «Vecchio Constituto » ordinava ad ogni uomo del Contado di farsi registrare dal notaio del suo Sestiere, dichiarando la propria condizione ed eventuali dipendenze: infine, sembra che altra commissione abbia promulgato, nel 1234, per la Città e Contado un sistema di Estimo, valutando le capacità contributive dei rappresentanti familiari; tale innovazione, foriera di sviluppo economico, si pon.e' al limite di rinascita medioe- vale dell'Itinerario Chiantigiano.Per rivitalizzare i traffici dall'Etruria Interna sino ai mercati di Liguria e Gallia, tramite sbocco sulla Via Aurelia, l'imperatore Adriano nel 123 D.C. aprì un nuovo percorso da Chiusi a Firenze: la «Via Cassia Adrianea» lungo la sponda meridionale dell' Arno, variante dell' antica Via Cassia «vetustate collabsam» sull' opposta riva del fiume, che univa Firenze e Fiesole ad Arezzo lungo le pendici del Pratomagno; l'itinerario, attestato dal celebre cippo d'Acquaviva presso Montepulciano (C.1.L.»XIo, 6688), e descritto nella Tabula Peutingeriana (IVo secolo D.C.), fu riconosciuto dal Rittatore nel tratto da Gaville a Cintoia: avanzi cospicui di strada pubblica e relative infrastrutture, dal Ponte agli Stolli a Dudda (viaducta) e Cintoia Alta, 'con diverticolo superante il Cesto per Lucolena (toponimo Ottavo ) fino alla via militare» sui Monti del Chianti, puntavano su Strada (dal nome trasparente) e l'Impruneta. L'orientamento trasversale del tracciato, che evitava sia Arezzo che Siena collegate da braccio sull'Ambra, risalta nelle Pievi Medioevali allineate su quest' asse (Gaville, Cintoia, Impruneta, Giogoli, Settimo, Signa), le cui funzioni primarie di manutenzione della viabilità furono dimostrate dal Plesner; anche Firenze e Fiesole risultano connesse da raccordi (Via di Giogoli, Via Vecchia Imprunetana, via lungo l'Ema), evidenziando le funzioni d'importante arteria della Cassia Adrianea, che abbreviava il cammino verso il Litorale Tirrenico per fini commerciali: le città romane erano allacciate nel loro «hinterland» più densamente abitato, immettendo nella circolazione derrate e manufatti locali attraverso questi nodi stradali periferici; ma, fatalmente, la regione chiantigiana, ormai destinata a serbatoio agricolopastorale, e lambita appena dalla direttrice imperiale, conobbe un progressivo isolamento, aggravato dalla cesura nelle comunicazioni tra gli alti bacini di Greve e Pesa.
La posizione dell'insediamento di Cintoia presso la Via Adrianea, è testimoniata sin dall'anno 1004 in contratto livellario del Vescovo Fiorentino (ca Cintoia prope stratam»): una carta di Montescalari del 1083 è stesa a «Milliarino» di Cintoia, ed altra del 1099 menziona la località di «Nono » tra Cintoia e Strada; il termine latino «centuria» (superfice di 200 iugeri) indica forse la centuriazione della zona, contemporanea all' apertura del tracciato, per ampliare i terreni coltivati: Strada in Chianti (cvia strata) risulta già citata in documento del 1031 (cin loco Strata), ed un atto del 1077 relativo a Pitigliolo assicura il percorso successivo sull'Impruneta (evia e strata), nelle cui vicinanze S. Miniato a Quintole ricorda altro probabile miliario. Il nucleo edilizio del cosidetto Borgo Vecchio» a Strada, formato da tre corti medioevali, comprendeva un Ospedale eretto nel 1384 per i viandanti: un prossimo gruppo di case, demolite per speculazione nel 1881, rivelò il basolato intatto della via imperiale (csi potevano a terreno vedere grandi stanzoni selciati come all' aperto, che pareva costruzione rornana»); anche i locativi originali delle chiese di S. Cristoforo, S. Ilario, S. Martino a Strada, tutte fondazioni private risalenti ad Età Carolingia, documentano la persistenza dell'uso stradale oltre la fine dell'Impero Romano, incluso i raccordi cittadini (Via dell'Etna): qui, una «Via ... qui iam fuit via antica» emergeva a S. Giusto a Mezzana (Ponte ad Ema), ancora nel Febbraio 1062, come dichiara una pergamena di S. Felicita. Nel «Medioevo Barbarico» disegnato dal Pepe, i percorsi di fondo-valle (Greve ed Ema) furono certamente abbandonati, sia per le condizioni idrogeologiche che per motivi di sicurezza; dopo le tragiche devastazioni nelle lotte tra Goti e Bizantini, che coinvolsero Firenze e Fiesole (535/553 D.C.), resistettero solo gli abitati muniti con tecnica castrense su posizioni difensive; la conquista della regione chiantigiana ad opera dei Longobardi (dal 570 D.C.), determinò il collasso finale delle comunicazioni, con spopolamento delel campagne, diffusione delle boscaglie, insorgere di ostacoli naturali. La trasformazione del Chianti Settentrionale in una sorta d'isola geografica, non fu motivata soltanto dal degrado viario e caduta di traffici, ma specialmente dalla rovina della piccola proprietà terriera, e l'accumulo di risorse concentrato nelle caste feudali e religiose; alla fine del XO secolo, molti possedimenti facevano ancora parte del Demanio Regio in tutto il Chianti, (donazioni marchionali del 998/1004) senza considerare i vasti dominii abbaziali di Coltibuono, Montescalari, Passignano, né i patrimoni fondiari delle consorterie gentilizie (sempre d'origine franco-germanica) insediate nel territorio: le loro alleanze ed antitesi bloccavano i transiti locali, gravati di dazi e pedaggi numerosi quanto il mosaico di giurisdizioni. Una carta di Passignano del 1080 accenna ad un castello di Greve (S. Francesco), ed al suo «Distretto» che arrivava a Torsoli sulla «via militare» dei Monti Chiantigiani, ma spettava al Plebato di Cortule/Gaville; il borgo di Panzano, erede di un «Pagus» romano (frammenti d'urna marmorea nella Villa di Pescille), è citato dal 1041: Cintoia e Lucolena sono documentate dal 989, Robbiana & Monteficalle dal 1078, e l'incastellamento in Val di Greve può dirsi completo alla fine del XIO secolo, quando scambi e commerci si svolgono ormai nei «mercatali» di bassopiano (Greve, Campana).

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